TRE ANNI FA

Tre anni fa mi stava seduto davanti, assorto nei suoi pensieri in un piccolo pub del centro, con la sigaretta tra le dita.

Fumavo nervosamente anch’io: "Finora non mi sono spiegata bene e voglio costringerti a riflettere su un problema che non è né transitorio né trascurabile".

Ordinò una seconda birra anche per me.

"Non mi sono mai reputata un soggetto dalla personalità coinvolgente, ma da quando mi sono lasciata andare con te, mi sono sempre più appiattita.

Ti ho inconsapevolmente delegato il ruolo di simpatico e brillante, dell’intellettuale, lasciando per me solo la gioia di vivere sotto la tua ombra, affannandomi affinchè anche gli altri ti vedessero coi miei occhi.

Forse ci sono riuscita: ma a quale prezzo?"

Alzò finalmente lo sguardo verso di me e rimase in silenzio.

Presi fiato e cercai di capire se la sua espressione fosse d’indifferenza o d’incertezza, ma non riuscì a mettere a fuoco ciò che provava.

"Ora hai accanto una donna trascurata sia fisicamente sia nell’entusiasmo di vivere, e questi se ricordi erano gli aspetti di me che ti facevano impazzire.

Sono una frana, siamo una frana!

Io aspetto che sia tu a trascinarmi, tu aspetti che sia io a farlo, e nell’attesa, per combattere la noia, ci azzuffiamo come cani rabbiosi".

Per tutto il tempo avevo aspettato che dicesse qualcosa, e quando lo fece fu solo per chiedermi se ero ancora infuriata per l’episodio del giorno prima, che ormai credeva chiarito e non era proprio il caso di ritornarci sopra.

"L’episodio di ieri è solo un pretesto per fare un bilancio della nostra storia, cosa che non abbiamo mai fatto: se tu mi sbatti in faccia continuamente che parlo sempre delle stesse cose, che sono piatta, che ti annoi, che vuoi fuggire, non te ne faccio un torto.

Hai ragione, sono io il mostro. Fossi in te non ci vorrei stare con una così neanche un giorno, figurati per tutta la vita!"

Disse allora che era tardi e dovevamo andare, o forse lo penso soltanto.

"Sono diventata così ed è inutile insistere nel cercare di apparirti diversa: farei pena ancora più di ora.

E poi senti, non lo credo giusto per me assecondarti perché appiattita posso comunque vivere, ma schiacciata provo solo angoscia."

Oramai non controllavo più le mie parole, e lui continuava ad accendersi sigarette.

Magari già pensava a cosa avrebbe visto la sera in tivù o a cosa avrebbe mangiato, comunque non mi ascoltava, ne ero certa.

Provai a scuoterlo: "Se questa relazione è diventata insoddisfacente, devi accettarlo come qualcosa che poteva accadere e lo devi dire prima che all’orizzonte compaia la donna giusta per te. Questo me lo devi concedere.

Per il resto accetterò qualsiasi decisione, purché chiara e decisa.

Ma non accetterò più rimproveri su quello che sono.

Ho deciso di piacermi dentro e fuori (al diavolo le diete) indipendentemente dalla persona che ho accanto.

Da oggi non sarò più la goffa imitatrice di un modello troppo perfetto, sarò me stessa allo stato puro, e tu annegherai in me sino a fuggire lontano oppure ( e me lo auguro!) sino a gustarmi fino in fondo.

Non metto in dubbio che mi vuoi bene adesso, ma non mi ammiri più, e questo vuol dire qualcosa, non credi?"

Ero certa che non mi avrebbe risposto, forse perché non sapeva cosa dire o perché non c’era nulla da aggiungere.

Si avviò lentamente verso la cassa, chiese il conto e pagò. Lasciò la mancia, prese il resto e se ne andò.

Tre anni fa era in quel pub seduto davanti a me.

Domani sarà mio marito.